Per ricordarti ho deciso di non scrivere un “coccodrillo” ma la storia di una fotografia. A presto, caro Gigi
Ieri ho pensato a te. Nelle scorse settimane ho traslocato il mio studio e, finalmente, ieri mi sono occupato di riempire le pareti con quadri, immagini e fotografie che mi hanno accompagnato nelle mie quasi 63 primavere e che giacevano dentro alcuni scatoloni.
Il tuo viso è spuntato tra le foto incorniciate. In quel periodo vivevo stabilmente a Roma e collaboravo con un settimanale che si occupava, ma lo fa ancora, di gossip e giravo con le macchine fotografiche a tracolla. Tra i vari servizi che producevo c’erano quelli relativi alle “prime” degli spettacoli teatrali, uno dei posti “giusti” per scattare foto a celebrità di vario tipo. In quell’occasione ci incontrammo nella hall del teatro Eliseo. Non ricordo di quale spettacolo si trattasse e tu eri tra il selezionatissimo pubblico. Sorridevi, come sempre, e scherzavi con tutti. Mi trovai a pochi metri di te mentre parlavi con Pino Strabioli. Ridevi. Feci sfilare la reflex digitale, con la quale realizzavo gli scatti per la rivista, e alzai la Hasselblad che pendeva sul mio fianco sinistro. Inquadrai e scattai. Un’immagine sfuggente, di profilo, con il tuo viso ai margini dell’inquadratura. Strabioli si voltò verso di me, sorridendo, forse pensava che lo scatto avesse riguardato entrambi. Anche tu ti girasti. “Questa a voio vedè” mi dicesti dandomi il tuo numero di telefono. E così fu. Sviluppai e stampai lo scatto e nei giorni successivi ti chiamai. Da poco meno di un anno eri il direttore artistico del teatro Brancaccio e fu lì che ci vedemmo. Con timore estrassi la foto dalla busta bianca che la conteneva e te la porsi. In quel momento entrò Carlo Vanzina, con il quale stavi preparando “Febbre da cavallo – La mandrakata”. Mostrò la foto a Carlo e disse “Questo sì c’ha fatto ‘na mandrakata… paro pure bello”.
Ieri quella foto ha ripreso il suo posto, prima che arrivasse la notizia del tuo ricovero. Involontariamente ora ti vedo tutte le volte che alzo la testa dalla tastiera del computer che uso per scrivere. Ciao Gigi e grazie ma, come sempre, la mandrakata più grande l’hai fatta tu. Non solo sei nato il “giorno dei morti” ma lo hai anche scelto per lasciarci.